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09 luglio 2021 / News

LUIGI SETTEMBRINI PER UNA SECONDA VOLTA A CASA MANZONI

 
 
Tra Alessandro Manzoni e Luigi Settembrini si apriva nel 1872 un conto, che forse aperto rimane. Nel 1872 era stampato a Napoli «Presso Antonio Morano Librajo-Editore» il terzo volume (che si aggiungeva alla ristampa dei due precedenti, usciti nel 1866 e nel 1868) delle Lezioni di Letteratura Italiana dettate nell’Università di Napoli dal professor Settembrini: alle pagine 302-21 il «Capitolo LXXXXVII. La Rivoluzione interiore. Il Manzoni».
Queste dense pagine esponevano un emblema offerto agli antimanzoniani più superficiali e anche ai fedeli manzoniani più riflessivi e inquieti (p. 311): 
 
      I Promessi Sposi è il libro della Reazione, la quale anche oggi si specchia in esso, fatta bella dall’arte del poeta. Però il libro fu lodato con lodi esageratissime, dato a leggere ai fanciulli, alle fanciulle, e persino alle monache; ed oggi viene        da tutti raccomandato ai giovani come un libro d’oro.
      Ma perché è lodato ancora da liberi uomini, e da filosofi? Perché è un lavoro d’arte mirabile, e se non è un libro veramente buono, è certamente bello. E perché dunque è bello?
 
Le risposte a questo interrogativo, il lettore le analizzi nelle pagine che seguono, e le confronti, se crede, con quelle di un grande amico ed estimatore di Settembrini, certo il maggiore tra i «liberi uomini e filosofi» cui lui si rimetteva: Francesco De Sanctis.
Manzoni forse ebbe notizie di queste righe dalla lettera di dedica con cui Antonio Buccellati introduceva i due tomi (ospitati per altro nel Fondo Stefano Stampa) che raccoglievano prontamente le sue «Letture fatte avanti il Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere»: Manzoni ossia Del progresso morale, civile e letterario quale si manifesta nelle opere di Alessandro Manzoni (Milano, Tipografia Editrice Lombarda, 1873).
 
       Dilettissimi Amici, / … Siavi dunque accordato il permesso di pubblicare per le stampe le mie letture fatte avanti all’Istituto; però a condizione che sieno queste precedute dalla dedica A Luigi Settembrini.
 
Si sente in dovere il sacerdote-giurista, docente di diritto penale nell’ancora Insubre Atene, di scusarsi per «alcune frasi scortesi da me usate nell’enfasi oratoria verso colui, che, come letterato e patriota, ha diritto alla stima e all’amore di tutti gli Italiani».
Anche qui si rimanda l’impavido fedele manzoniano alla «Lettura Prima. Fatta nell’adunanza del primo agosto 1872» (t. I, pp. 1-62), dunque in tempo utile per farne avere notizia ai due scrittori, all’accusato complice della «Reazione» e al suo accusatore (p. 62): 
 
         Settembrini getta fuori zolfo a sovrabbondanza da’ suoi scritti, e sopra uva malata questo zolfo potrebbe giovare; ma contro Manzoni il getto di zolfo è sacrilego assassinio, perché, vivaddio! i frutti di Manzoni non sono affetti dalla                     crittogama della reazione!
 
Manzoni avrebbe gradito, memore delle sue fatiche di viticultore, le metafore sulfuree e crittogamiche, Settembrini avrebbe ricordato la sua timorosa ma rasserenata visita in via Morone, come – così conclude la citata lezione napoletana – fosse corso in venerazione da lui, prima di visitare il Duomo, il monumento sacro di Milano (p. 321):
 
          Ma io lo avrei abbracciato e baciato quel santo vecchio, se la riverenza non mi avesse trattenuto. Oh potessi io ridire senza guastarle tutte le parole che egli mi disse!
 
 E oggi i non pochi lettori che amano scusarsi con Manzoni, dovrebbero perdonare a Settembrini anche la incomprensione del supremo coro di (non della) Ermengarda (p. 31):
 
            La scena dell’Ermengarda è bellissima, perché lì c’è un sentimento umano, e vediamo una regina repudiata, una donna che ama e muore. Eppure questa infelicissima creatura è insultata da quelle parole:
                            Te della rea progenie
                             […]
                            Te collocò la provvida
                             Sventura tra gli oppressi ec.
 
Il CNSM si è arricchito il 28 giugno scorso, grazie al generosissimo dono di un colto e civile cittadino italiano, il dottor Gianfranco Campione, di un esemplare della edizione quarantana dei Promessi sposi, impreziosito, sull’antiporta, dalla dedica autografa di Luigi Settembrini alla nipote Anna, regalo certo molto impegnativo per una undicenne:
 
                            Alla mia cara nipote e figlia Annina Pessina -
                              15 luglio 1869 -             Luigi Settembrini
 
 
Come noto, Luigi Settembrini, chiamato al Liceo di Catanzaro, nell’ottobre 1835 sposava Raffaella Luigia Faucitani: lui ventiduenne, lei diciassettenne. L’8 aprile 1837 nasceva il primogenito, Raffaele; alla nascita della secondogenita, Giulia, 11 agosto 1839, il padre era da tre mesi in carcere, come lo sarà (la condanna a morte era stata commutata in ergastolo) quando nell’autunno 1855 Giulia sposava un illustre filosofo-giurista (poi senatore e ministro), il ventottenne Enrico [Errico] Pessina. L’avrebbe voluta festeggiare, «quella angioletta della mia Giulia», la «sua diletta figliuola Giulietta», il desolato e affettuoso padre con uno scritto:
 
              Povera figliuola! gentil fiorellino di candidezza e di freschezza. Io la vidi bambina, ora l'ho riveduta donzella, e non mi par vero. Quanta mestizia ha nei begli occhi, e nel volto! Cosi tenera,                    così afflitta! O Giulia mia, o colomba mia innocente e cara, dove sei ora? perché io non ti vedo? Ella è stata richiesta da un buono e bravo e colto giovane, che non teme d’avvicinarsi alla                      famiglia d'un ergastolano politico. Qual dote io posso dare alla diletta figliuola mia? Mi venne un pensiero: farle dono della mia traduzione di Luciano, cederne a lei la proprietà: e questo                        pensiero mi ha riaccesa la vita, rischiarata la mente, cresciute le forze. Non trovo più difficoltà, non sento più stanchezza, lavoro facilmente, tutto mi riesce secondo il mio concetto: le carte                    che scrivo mi paiono abbellite dal sorriso della mia Giulia, la quale mi sembra che venga a sedersi vicino a me, e legga ciò che io scrivo, e mi sorrida, e m'incoraggi a lavorare. (Ricordanze                  della mia vita, Parte terza, XXXII)
 
Da questo matrimonio, che vede il genero subito eletto a «figliuolo», sarebbero nati Marianna (Anna) (1858) e Giuseppe (1860). Quando nasce la bimba, il nonno è all’ergastolo (cfr. Lettere dall’ergastolo, a cura di Mario Themelly, Milano, Feltrinelli, 1962), la nonna a Torino (siamo a luglio, visto che Cavour le parla di Luciano Murat come prossimo re di Napoli, ipotesi maturata negli accordi di Plombières): della nipotina è nostalgico desiderio già nella lettera del nonno Luigi, in fuga verso Londra, alla moglie Gigia, da Cadice, 11 febbraio 1859 (ivi, LXXI):
 
               Che fa la nostra Giulia, e come sta? e la sua bambina? Io mi ricordo che quando tu mi mostravi cotesta bella bambina, le dicevi sempre: «vedi il nonno, vedi il nonno», e ripetevi quel                             benedetto nonno tante volte, quasi per volermi far ricordare bene che sono nonno, e temendo che in un viaggio così lungo, e in un paese così lontano io non avessi a dimenticarmi di esser                   nonno. E ci è stata un po' di vendetta dalla parte tua che tu ti sei sentita chiamar nonna ed io no, e tu in poche ore hai voluto fare a me una girata di tutti i nonni che sono stati dati a te. Io ho                 notato ogni cosa, ed ora che sono oltre a mille miglia lontano da te, e senza paura di sentirmi ricantare quel nonno, te n'ho voluto scrivere, per mostrarti ancora che di animo sto tranquillo, di                 corpo bene, e penso sempre a te, ed alla Giulia nostra, e ad Errico, ed a tutti.
 
Con l’unità d’Italia, Luigi Settembrini è docente universitario, prima a Bologna, poi a Napoli. Le sue lettere del novembre e dicembre 1873 indicano già il nipote Giuseppe, in collegio a Lucca («dopo l’improvvisa e definitiva separazione dei genitori»: cfr. L. Settembrini, Lettere edite e inedite. 1860-1876, a cura di Anna Pessina, Napoli, Società Editrice Napoletana, 1983, p. XXV), come il prediletto: si aprono con un affettuoso «Caro e benedetto figliuolo mio Geppino»; la sorella, affidata alla custodia del padre, ormai separato da Giulia, è sempre indicata come «Annina»: ma dal tono di una lettera del 14 dicembre la si direbbe ‘lontana da casa’: 
 
                 Annina, a quanto sappiamo, entrerà oggi in S. Marcellino, perché il colera è finito, tutti rientrano. È doloroso che una fanciulla come lei non abbia trovato in quattro mesi una mezz’ora di                       tempo per scrivere a la madre e a la nonna, tranne che quella volta che scriveste insieme da Cava.
 
Giuseppe è destinatario nel 1875 del saggio Le Origini. Dialogo tra Geppino e il nonno; sarà ‘paroliere’ (Serenata per contralto o baritono. Musica di R. De Leva, Milano, Ricordi, 1888; Sorrisi e baci. Valzer per canto e pianoforte. Versi di G. Pessina, Musica di Enrico De Leva, Napoli, Mele e C.i, 189?), librettista (G. Pessina, La Camargo. Azione lirica in quattro parti. Musica di E. de Leva, Milano, Edizioni Ricordi, 1897; Adriana Le Couvreur. Azione lirica in un prologo e tre quadri di G. Pessina. Musica di Federico Pignatelli, Napoli, 1901): ne scrive De Leva: «dolcissimo poeta, mio amico fraterno ed amicissimo anche di Gabriele» (D’Annunzio, a Napoli nei primi anni novanta).
Ma si veda, con quello di altri, un ritratto di lui trentenne (morirà nel 1920), nella Strenna della Libreria Pierro pel 1891 (p. 10):
 
             È l’ora dei bibliomani. Arrivano, capitanati da Don Eduardo de Sortis, un monaco francescano senza la tonaca, scultore, borbottone e cenobita. Egli – tra il dott. Giulio Capone, mite animo                 angelico e giovane colto, e Peppino Pessina, viveur, scettico e collezionista di stampe castigate, autore d’un Romanzo d’un anno, di una Leggenda futura e altri croquis di simil genere –                     sembra il Cristo fra due buoni ladroni e lancia di tanto in tanto al rampollo Pierro un epiteto che dovrebbe irritarlo, perché sempre pungente al vivo. 
 
Questa notizia, alla fama vulgata di bibliofilo e raffinato collezionista, aggiunge un tratto maniacale, in trasparenza quasi furtiva. Si vorrebbe credere che i Riscontri manzoniani (momenti dell’inno sacro Il Nome di Maria a riscontro con passi di Virgilio, Chiabrera, Alfieri, del Faust, dell’Arcadia) di Erasmo Percopo (alle pp. 102-3 della citata Strenna) siano stati per Giuseppe Pessina un invito alla (ri)lettura del grande romanzo e alla rivisitazione delle pagine del nonno.
Il dono di Luigi Settembrini alla nipote Annina è infatti passato, forse più opportunamente, nelle mani di «Geppino»: lo confermano alcuni dati. Anzitutto il timbro a secco del monogramma «GP» sovrastato dal blasone; sul verso della copertina il cartiglio «Ex libris Jos. Pessinae» con lo stemma e il motto oraziano «Vides. Ut. Alta». Nell’angolo destro in basso, la data manoscritta 1889; e in alto No. 95, riportato anche sul dorso.
Sulla stessa pagina in alto a sinistra, l’ex libris di Alfredo Campione, con una prua tra le onde.
Sul dorso, in basso, incollato, un tondo cartaceo dove si leggono il nome «G. Pessina» e il numero 95 scritto con inchiostro rosso.
 
Manzoni era entrato con il suo capolavoro nella casa del dotto e radicale critico napoletano, protagonista del nostro Risorgimento, impegnato contro la letteratura della «reazione»: ora, grazie al dono di Gianfranco Campione, a memoria pubblica del nonno Alfredo, sono i Settembrini a stabilirsi ‘famigliarmente’ nella Casa del poeta, che si è provato a iscrivere nel progresso cristiano della Storia l’educazione sociale delle «gente meccaniche». (as)
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