Nella sua lunga esistenza Alessandro Manzoni ha vissuto in molte case, ma l’unica che possa essere considerata veramente sua è quella di via Morone 1.
Dopo il matrimonio con Enrichetta Blondel (1808) e la nascita di Giulietta, lasciando quasi definitivamente Parigi, nel 1810 la famiglia Manzoni trova una provvisoria sistemazione in via San Vito al Carobbio n. 3883, e poi una più gradita ospitalità nel palazzo Beccaria, al 6 (allora n. 1571) di via Brera: qui, dove era nata Giulia, il 21 luglio 1813 nacque il secondogenito Pietro.
La famiglia, nei pronostici sempre più numerosa, e il desiderio di una dimora stabile in Milano spinsero Alessandro ad acquistare un palazzetto in contrada del Morone all’angolo con piazza Belgioioso, chiamata di San Martino in Nosiggia, nome della chiesa da poco lì demolita. Il palazzo, di proprietà di don Alberico de Felber, fu acquistato il 2 ottobre 1813 al prezzo di L. 107.000.
Donna Giulia Beccaria esprimeva, in una lettera allo zio Michele de Blasco del 26 luglio 1814, la piena soddisfazione per la scelta fatta: «Ci troviamo contentissimi della nostra nuova casa per l’aspetto veramente felice, sì nello inverno che nella state».
Tra le ragioni vincenti per la scelta della casa De Felber vi era anche la sua collocazione al centro della città. Il cerchio familiare era garantito dalla vicinanza dei pochi veri amici: Federico Confalonieri e Silvio Pellico in via Monte di Pietà, il Porta e i Verri in via Monte Napoleone, Vincenzo Monti in via Brera. A pochi passi sorgevano la Biblioteca Ambrosiana, la Braidense, il Gabinetto Numismatico diretto dall’amico Gaetano Cattaneo, le librerie di Santa Margherita e della Contrada dei Servi. Una centralità topografica che permetteva di unire le esigenze dello studioso alle istanze affettive.
Giulia, ben consapevole di questo privilegio, alcuni anni dopo, quando la tentazione di ritornare a vivere a Parigi si fece pressante, e le ristrettezze economiche suggerivano la vendita della villa di Brusuglio e della stessa casa di via Morone, si raccomandava al fratello (da Parigi, 4 gennaio 1820): «fa tu fa tu fa tu, ma ti avverto che devi assumerti di cercarci poi a suo tempo un appartamento ne’ tuoi e nostri contorni, non voglio dipartirmi da quel cerchio magico, ricordatene bene».
Subito dopo (13 marzo 1820) si trasforma però in progettista-restauratrice, sottoponendo al fratello il piano degli impegnativi lavori: «Io tengo la casa di Milano e ti prego di rivedere la mia lettera antecedente dove accennai tanti accomodamenti per vedere di fare la scelta degli indispensabili e da farsi sul momento».
Molti lavori vennero eseguiti, altri dilazionati, ma via via negli anni la casa prendeva forma secondo i bisogni di una famiglia di dodici membri: Giulia, Enrichetta e Alessandro con le loro esigenze diverse, nove figli di varie età: mentre Giulietta era già una ragazza “da marito” ammessa alle conversazioni “dei grandi”, Filippo e Matilde, gli ultimi nati, avevano ancora bisogno della bonne. Le numerose stanze, dislocate su tre piani, offrivano un comodo alloggio anche alla servitù e un’ospitalità accogliente agli amici. A Manzoni è riservata una stanza che guarda al giardino, appartata, dove potersi ritirare a leggere, meditare, scrivere.
Proprio questa stanza sarà un luogo perfetto dove ricevere gli amici intimi e gli ospiti illustri che negli anni a venire, con l’aumentare della fama dei Promessi sposi, diventeranno sempre più numerosi e frequenti. Mentre Renzo, Lucia, la monaca di Monza, l’Innominato, la Milano della peste prendono volto e parola al piano terreno, al primo si svolge la vita quotidiana dei familiari: Giulia sovrintende, Enrichetta si occupa dell’educazione dei figli, entrambe collaborano a mantenere la casa accogliente e festosa.
Mary Clarke è spettatrice incantata dalla serenità festosa dei giochi di famiglia nell’inverno del 1824, e ne racconta a De Gubernatis:
«[…] je dois avouer que nous y jouions bien souvent une partie de Colin Maillard, Pierre et Juliette la fille ainée, et madame Manzoni, qui, s’étant mariée a 16 ans, était plutôt la compagne de ses enfants anés. Manzoni jouissait de ces parties autant que nous, à sa façon, mais ne s’y joignait pas; il causait avec M.r Fauriel et avec ma mère. Il me souvient encore, comme si c’était hier qu’après une partie singulièrement animée, quand elle fut finie, il mit les bras autour de la taille de sa femme, disant: “Tu t’es bien amusée, ma femme”; et qu’elle confirmait ce jugement. Le fait est que c’était un intérieur charmant. La personne qui répandait un grand charme dans cet intérieur était la mère de Manzoni, qu’on appelait Donna Giulia».
Con la morte di Enrichetta, a quarantadue anni nel Natale del 1833, e quella, ancor più prematura, di Giulietta, a soli ventisei anni, l’atmosfera si fa inevitabilmente più mesta, le voci diventano bisbigli per trattenere quel dolore inesprimibile. Alessandro vorrebbe rimanere chiuso nello studio, fatica a trovare parole da imprimere sulla carta e sente la mente inoperosa.
Una accettata serenità ritorna dopo il matrimonio con Teresa Borri Stampa, che nel 1837 entra nella casa di via Morone accompagnata da un figlio diciassettenne, e dalla consapevolezza di essere moglie del più illustre e ammirato scrittore d’Italia.
Teresa si insedia al primo piano, riservandosi un ampio «camerone-stanzone» affacciato al giardino, dal quale, anche attraverso una scaletta di comunicazione con lo studio, potrà osservare dall’alto gli incontri di Alessandro.
Da questa unione sicuramente non infelice arriveranno inattese due gemelline, una nata morta, l’altra sopravvissuta solo poche ore: il dispiacere e l’età di donna Teresa, ormai quarantaseienne, aprono le non più liete stanze a malanni e stanchezze.
La legge e l’ingiustizia del tempo, i matrimoni e le morti premature delle figlie e dei figli (solo Enrico e Vittoria gli sopravvivranno) volevano forse predisporre un luogo di silenzio, perché Alessandro Manzoni, solo, attendesse l’ultima visita della morte, il 22 maggio 1873.
Dopo la sua morte la casa venne posta in vendita dagli eredi al prezzo di L. 280.150. Fu acquistata dal conte Bernardo Arnaboldi Gazzaniga, il quale, rispettoso delle memorie manzoniane, permise la visita allo studio e alla camera da letto nell’anniversario dell’«Illustre Defunto».
Nel 1919 la casa passò ad Attilio Villa e nel 1922 ai fratelli Dubini.
Nel 1937, divenuta proprietà della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde, fu da questa donata al Comune di Milano purché fosse destinata in uso perpetuo ed esclusivo al Centro Nazionale Studi Manzoniani, istituito con R.D. Legge 8 luglio 1937, n. 1679.
In data 20 marzo 1941 il fabbricato venne passato dal Centro, che ne manteneva perpetuo e completo usufrutto, in proprietà al Comune di Milano. Il Centro trovava però la casa in parte alterata dalle successive proprietà, che avevano modificata la distribuzione e la destinazione dei locali.
Sotto la guida dell’allora conservatore Marino Parenti vennero avviati i lavori di ripristino per riportare la casa nelle condizioni in cui si trovava alla morte di Manzoni.
I lavori di restauro vennero interrotti per le vicende della Seconda guerra Mondiale; furono poi ripresi e completati negli anni ’60 quando, il 15 dicembre 1965, venne inaugurato il Museo Manzoniano.
Cinquant’anni dopo, in concomitanza di Expo 2015, una nuova opera di ristrutturazione è stata completata grazie al sostegno di Intesa Sanpaolo, con l’intenzione non solo di offrire ai visitatori un percorso espositivo più ampio, ma anche di rendere Casa Manzoni un ancor più vivace polo culturale aperto agli studiosi e all’intera cittadinanza.