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11 Novembre 2022 / News

I cento anni di Dante Isella

 

L’11 novembre era un tempo giorno festivo in via Morone, perché la seconda signora di quella Casa vi festeggiava, a partire dal 2 gennaio 1837, i propri compleanni.
Oggi il Centro Nazionale Studi Manzoniani lo dedica al ricordo di Dante Isella, a cento anni dalla data di nascita ufficiale, nella città per sempre sua di Varese. 
Anzitutto con le parole della Premessa di una miscellanea di Studi di letteratura italiana a lui offerti nel 1983 della Facoltà di Lettere dell’Università di Pavia.

I collaboratori di questo volume, tutti a ridosso di un significativo spartiacque anagrafico, sono cresciuti alla scuola pavese di Dante Isella, e pensano che un suo anniversario, sereno testimone di anni laboriosi e di lunghe fedeltà, giustifichi una silloge di studi sulla letteratura, la filologia, la lingua italiana.
Dante Isella giunse a Pavia nel 1967, da lontano, da sedi e tempi universitari d’eccezione: Friburgo e Firenze i suoi luoghi di formazione, per seguire la scuola di un Maestro, poi il ritiro a Varese, dove un mondo antico che si affacciava sul nuovo dettava al solitario studioso, appartato dall’accademia, il ritmo della sua ricerca letteraria. Per le coscienze segnate dalla bufera bellica era imperativa una ricostruzione interiore, nel lavoro, riprendendo da capo, ciascuno al proprio tavolo, una severa e serena disciplina di studio. Allora la filologia e la stilistica divenivano, come la poesia delle predilette Occasioni, sicuro strumento verso quella parola che poteva restituire una tenue certezza, nel riproporsi affrettato di troppe confuse voci. 
Dal 1947 al 1964 gli studi di Dante Isella hanno stabilito il testo delle poesie portiane, illustrato lo stile di Carlo Dossi, restituito alla cultura italiana («exegi monumentum … ») il teatro di Carlo Maria Maggi: con sobria e profonda intuizione critica, la lettura delle nostre vicende letterarie era accordata alle proposte della stilistica e della variantistica, e la nuova istanza sociale recuperata, lezione dopo lezione, nella saggia voce poetica di Meneghino.
Da una terra povera, da una terra di frontiera (e i versi di Vittorio Sereni ampliavano questa atmosfera, nel loro incontro stradale), Isella portava nell’aula pavese l’aristocratica civiltà dell’operare, dell’impegno: il tormento delle idee e dei tempi, nascosto nell’accumulo dei testi, della tradizione, delle letture, si illimpiva in schemi filologici e critici, dove tutti i testimoni e le significanti parole della poesia riconducevano alla vita, con più energica passione, la geografia e la storia dei municipi e della nazione.
Per la facoltà ticinese l’impatto non fu lieve: ma ad alcuni parve che, ancora una volta, si proponesse alle istituzioni e alla ricerca universitaria una prepotente occasione di rinnovamento. Con Isella era entrata nell’aula un’istanza di raffinata essenzialità, il saggio distacco dalle tentazioni e dalle mode, dal potere e dai tradimenti culturali. Molti giovani avvertirono, nelle lezioni su Lemene, Parini, Gadda, Montale, nel costante riferimento manzoniano, nell’emergere tra l’intrico dei volumi e degli autori della sua linea lombarda, il disegnarsi, per i contemporanei, di una ideale repubblica della cultura, che illusioni e conformismi soffocavano.
Da alcuni anni Dante Isella ha lasciato Pavia; ma, al di là della divergenza fenomenica e geografica delle scelte, la consuetudine del laboratorio filologico e critico mantiene, tra lui e noi, un’operosa sintonia.
Ci auguriamo che i contributi qui presentati documentino coerenza di metodo, equilibrio di intelligenza e laboriosità, più matura e affettuosa vicinanza. Forse questi scritti porteranno anche chi recalcitra al ricordo verso un istante di indugio e di riposo sulla pagina degli anni che si sfoglia e ripiega, un istante per riconoscere come il suo insegnamento rimanga tracciato fondamentale per gli artigiani delle lettere e della loro civiltà.

Della continuità dell’insegnamento pavese di Dante Isella ha testimoniato e testimoniava l’edizione garzantiana delle Opere di Carlo Emilio Gadda (1991-1993), realizzata con una schiera di allieve e allievi pavesi (oltre che di Franco Gavazzeni, Emilio Manzotti e Andrea Silvestri): Gianmarco Gaspari, Paola Italia, Guido Lucchini, Clelia Martignoni, Liliana Orlando, Giorgio Pinotti, Raffaella Rodondi, Maria Antonietta Terzoli, Claudio Vela. 
Ora lo testimonia l’edizione critica della princeps dei Promessi sposi, proposta didatticamente nei seminari pavesi negli anni settanta, e diretta fino e oltre il suo ultimo giorno (si è congedato dalla vita il 3 dicembre 2007).
Dante Isella apriva, con il sostegno della Fondazione Cariplo e la partecipazione di Giancarlo Vigorelli e un gruppo di illuminati milanesi, il cantiere all’insegna «edizione critica dei Promessi sposi» all’inizio di questo secolo, programmando di sanare la ferita della più che secolare mancanza di una edizione critica del romanzo, che Alessandro Manzoni aveva invocata con il lascito di centinaia e centinaia di pagine autografe, di postille, di segnali epistolari. Nel 2006 veniva stampata l’edizione critica del Fermo e Lucia, a cura di Barbara Colli, Paola Italia, Giulia Raboni; nel 2012, ancora per le cure di Barbara Colli e Giulia Raboni, inattesi, Gli Sposi promessi: ora, grazie a Donatella Martinelli, I Promessi sposi ventisettani, testo critico e apparati: un volume di mille pagine, accuratissimo, innovativo anche nella veste tipografica.

Questo trittico filologico può ora essere confrontato, integralmente, svelandone i segreti genetici e variantistici, con i manoscritti braidensi grazie all’invitante «portale manzoniano»: tutti i lettori, visualizzando anche nei dettagli le irte o acclivi pagine autografe, le bozze, le notizie, possono accomodarsi nelle stanze dello Scrittore, ‘con-laborare’ con lui: gli apparati, nella loro innovazione rappresentativa e nella loro funzionalità interpretativa, ri testualizzano gli elementi grafici, grammaticali, lessicali e locuzionali nella architettura della fisiologia sintattica. 
Donatella Martinelli con la Ventisettana in edizione critica consegna un risultato d’eccezione per la critica filologica italiana, per la metodologia esemplare delle interpretazioni e della rappresentazione del continuo, anzi «eterno lavoro», sempre «in perfezionamento progressivo», di ripulitura linguistica (Raboni 2008) e testuale (Bricchi 2019).

Con la dovuta e piena risposta alle attese dello Scrittore degli Scrittori, alla sua speranza di essere letto tra i suoi scaffali silenziosi, e accompagnato negli itinerari del dubbio, grazie ad allieve della scuola sua, risalutiamo Dante Isella al traguardo di una vita di studi, con l’esergo che, nella tappa per lui estrema del Fermo e Lucia affidava a un trepido proposito di Rilke, con parole che avrebbero potuto leggersi, magari erase, sopra un incipit manzoniano: «Ich lebe mein Leben in wachsenden Ringen, | die sich über die Dinge ziehn. Vivo la mia vita in cerchi che si innalzano, che si estendono sulle cose. Potrei non essere in grado di completare l'ultimo, ma ci proverò”.

(Angelo Stella)

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