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01 2021 / News

Corrispondenze garibaldine

 

Si inscrivono, queste lettere, nella dimenticata terza guerra per l'indipendenza italiana, anacronistica in una Europa che vedeva l'affermazione di un nuovo impero egemone, le invasioni coloniali, il quarto stato. E vi traspare, riconosciuta, la rovinosa, anzi la «disgraziata» condotta delle operazioni militari da parte dell’esercito regolare come della flotta, con riferimenti e giudizi di cui le note provano a interpretare gli accenti tra i sottovoce e le grida contemporanee, e così inserire nel giusto contesto la passione politica e le preghiere della zia, e il volenteroso escursionismo militare del nipote e di altri amici in qualche misura illustri e volontari. Il giovane rampollo aristocratico milanese, cresciuto orfano e lontano dalla sua città per la condanna all’esilio del padre Lodovico, con entusiasmo giovanile e scapigliato, e molta impreparazione, si arruola nel Corpo Volontari Italiani di Garibaldi, dicendosi «sarei desolato di mancare questa stupenda occasione di farmi onore. Non ci riescirò forse ma farò di tutto per arrivare alla medaglia al valore militare», e per un breve istante si persuade a desiderare una morte, sempre e più con onore. Alla fine, l’epilogo della loro guerra è in un amaro bilancio privato per Alessandro, per Margherita, in un proclama pregaddiano, da generalessa, sul mestiere delle armi. (Angelo Stella, Poscritto)

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