OCCASIONI MANZONIANE

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17 2020 / News

OCCASIONI MANZONIANE

 

 

Occasioni manzoniane di settembre

Alessandro Manzoni avrebbe voluto ricordarci che il 14 settembre si è compiuto il 699.mo anniversario della morte di Dante Alighieri, e che vorrebbe, anche lui, entrare, senza rumori e in punta di piedi, nel settimo centenario. I giorni, chi non voglia sciupare i poetici «dì» di entrambi, di Dante si annunciano numerosi, dovuti al solo poeta, popolarmente e internazionalmente riconosciuto con il prenome, come i greci e i latini, come Leonardo, Raffaello, Michelangelo, Tiziano…
Il diciassettenne Alessandro si era confrontato, al suo esordio, «pieno di poetico ingegno», con «il divo Alighier», forse troppo spavaldamente, per biasimare con l’«esule egregio» l’ingrata Firenze e una Italia «ove spesso il buon nasce, e rado alligna», «di gentil alme matrigna», «pentita sempre, e non cangiata mai».
Nella cantica rivoluzionaria Del Trionfo della Libertà l’aspirante giacobino ancora misura, anche perché dichiarato, il debito con Dante, filtrato dal suo «grande emulatore», Vincenzo Monti, cui l’ormai illustre autore dei Promessi sposi riconoscerà, generosamente e pubblicamente, in un discusso epitaffio, «il cor di Dante e del suo Duca il canto».
Molti studiosi e diverse studiose hanno messo in luce una filigranata presenza di Dante in Manzoni, un Manzoni persuaso di dover guardare troppo in alto verso la poesia della Divina commedia, e di non potersene appropriare, ma solo offrirne una trasparenza.
Il 19 marzo 1868, all’indomani della discussa Relazione, Manzoni indirizzava a Ruggero Bonghi e affidava al suo giornale, «La Perseveranza», una lettera (dichiarata come «una spacconata») sul De Vulgari Eloquio, che interpretava come trattato non di lingua italiana ma di analisi retorica della poesia in volgare, nei volgari italiani.
L’anno successivo, nell’Appendice alla Relazione, avrebbe tracciato un assoluto ritratto di Dante e della sua opera:

L’uno, il primo tra i primi, di valore come di tempo, riunì in una stupenda composizione, e memorie prese da tante età e da tanti luoghi, di fatti e di sentimenti i più vari, di vizi e di virtù, di gioie e di dolori, di [successi >] prosperi eventi e di sciagure, di dottrine e d’errori; e descrizioni, anzi pitture di pene, di speranze, di stati felici; e giudizi e passioni sue proprie, e un conversare, o reverente, o amoroso, o iracondo, o pietoso, coi tanti e tanto diversi morti incontrati in quell’immaginoso viaggio; e gli aspetti e le avventure del viaggio medesimo.

Riflessioni, queste, ben presenti a ogni rimembranza scolastica. Se ne suggerisce una inattesa, e forse impropria, certo interrogativa, che si vorrebbe autorizzata dall’inno intitolato a Il Nome di Maria, festa che il calendario liturgico fissava al 12 settembre.
È singolare, anche se occasionale, che l’itinerario poetico di Manzoni, approdi, come in Dante, come e diversamente che in Petrarca, a una lode, che è invocazione, alla Vergine, dove si dilata all’infinito della redenzione, la distanza tra Colei che non ha conosciuto la colpa, e i peccatori che lui, Alessandro Manzoni, sa di rappresentare:

Tu sola a Lui festi ritorno
ornata del primo suo dono,
Te sola più su del perdono
l’Amor che può tutto locò.

Te sola dall’angue nemico
non tocca né prima né poi;
dall’angue, che appena su noi
l’indegna vittoria compiè,

traendo l’oblique rivolte,
rigonfio e tremante, tra l’erba,
sentì sulla testa superba
il peso del puro tuo piè.

Manzoni provava, segretamente a confrontarsi un’ultima volta con Dante, tendendo le parole proprie verso le sue.

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